Renato Morganti, Matteo Abita, Danilo Di Donato, Alessandra Tosone
Dipartimento di Ingegneria Civile Edile-Architettura e Ambientale, Università degli Studi dell’Aquila

Se c’è un territorio tra quelli del Belpaese che più degli altri può vantare una tradizione secolare nel settore metallurgico, questo è senz’altro la Toscana. Ciò si deve non solo all’indiscutibile importanza riconosciuta sin dall’antichità all’attività estrattiva nell’isola d’Elba, ma anche alle esperienze che maturano nella prima metà del XIX secolo, grazie alle quali le fonderie di Follonica diventano il maggior polo siderurgico della penisola. Non appare casuale pertanto che sia proprio il Granducato ad accogliere, negli anni Trenta dell’Ottocento, alcune tra le prime e significative sperimentazioni in Italia di una innovativa tipologia di ponte, quello sospeso a fili di ferro, introdotto poco più di un decennio prima in Francia dai fratelli Marc e Jules Seguin. Favorevole a questa sperimentazione è il complesso di relazioni che si instaura tra la Toscana e la cultura tecnica d’oltralpe, avviata sotto l’occupazione napoleonica e proseguita, pur se in altra guisa, negli anni successivi alla Restaurazione, quando tecnici toscani completano il proprio percorso formativo compiendo un grand tour in direzione inversa che li porta a conoscere un contesto tecnologico e produttivo più evoluto come quello transalpino. È questa koiné scientifica e culturale a costituire il presupposto per la costruzione di due importanti attraversamenti sull’Arno, realizzati con la tecnologia messa a punto dai fratelli Seguin: i ponti San Leopoldo e San Ferdinando.

1 Introduzione
Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento le condizioni poste dall’evoluzione dei metodi costruttivi e dallo sviluppo della tecnologia dei materiali, in particolare nel settore metallurgico, aprono la via alla sperimentazione di un nuovo modello di ponte, quello sospeso, che recupera tipologie strutturali tradizionali, proprie di alcuni paesi, come quelle dei ponti a funi di liane e di cuoio (figura 2). Esso assurge a simbolo di progresso ed efficienza a fronte delle nuove esigenze funzionali connesse a una sempre maggiore e diffusa infrastrutturazione del territorio in grado di assicurare la mobilità di persone e merci e garantire quindi la crescente economia di mercato legata al processo di industrializzazione in atto [2].
La “riscoperta” di questa tipologia di ponte è legata all’evoluzione della metallurgia per la produzione del ferro e dell’acciaio per successivo affinamento della ghisa ed è proprio il ricorso a un diverso tipo di materiale a portare all’introduzione di due varianti tecnico-costruttive: la prima del ponte a catene, la seconda del ponte a fili di ferro [3].
Il metallo impiegato nei ponti a catene è lavorato per battitura e quindi nelle prime realizzazioni è prevalentemente ferro “saldato”. Le catene sono realizzate mediante anelli allungati o barre reciprocamente vincolate in modo da formare un elemento continuo articolato in grado di acquisire la configurazione tipica “a catenaria”.[…]

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