di Carmelo Gaudino

E.Castellan Strumenti Musicali, Padova

 

Il canto dell’incudine è uno dei primi strumenti musicali della mia vita, ci giocavo con il martello fino a che mi facevano smettere, perché rovinavo l’incudine. Facevo “marcette” con uno o due martellini, colpendo l’incudine al centro, intercalando colpetti sul cono o sul quadro laterali i quali avevano un suono diverso: il cono era un suono più acuto e lungo, il quadro aveva un suono più grave e corto.

Anni dopo mi misi a studiare problemi di regolarità del suono tra le note del pianoforte, molti dei quali rimanevano un mistero; come due corde vicine con lo stesso tragitto e medesime dimensioni, potevano avere caratteristiche di suono molto diverse.

Provai su un pianoforte ad assestare le corde sul ponticello, ed effettivamente il suono era cambiato, ma notai subito che era necessario ripristinare la tensione perché era la nota diventata calante. Osservando tutte le curve a cui era soggetto il tragitto della corda, razionalizzai che l’apporto di tensione generato con l’impulso del martello, veniva assorbito in parte dall’oscillazione del materiale in eccesso. Cercai di capire come formulare un processo di lavorazione di tutte le corde del pianoforte, con operazioni di stampaggio delle curve, partendo dall’attacco verso il registro di tensione, scindendo una lavorazione diversa da pianoforte verticale e pianoforte a coda (Figura 1) e cercando di valutare i mutamenti del suono durante il progressivo processo di stampaggio delle curve, costruendo strumenti appositi per ogni operazione. Il primo risultato confortante è stata la constatazione di una maggiore omogeneità dei vari componenti del suono

a)                b)

Figura 1. Pianoforte verticale a) e a coda b)

Cominciai ad identificare un funzionamento ideale delle corde, per produrre vibrazioni regolari, e proprio analizzando il comportamento delle corde in relazione alla resistenza alla piega dei metalli capii il motivo per cui le corde del violino a volte si paralizzavano durante il funzionamento, provocando fischi e grattamenti. Diedi la responsabilità di questi difetti di funzionamento, alla duplice interferenza nel tratto di corda tra ponticello e cordiera, della reazione prodotta ai lati delle curve che la corda esegue sul ponticello per scaricare le vibrazioni, e la curva che esegue per essere ancorata alla cordiera, comprendendo che quel tratto di corda era costretto verso un’unica direzione di oscillazione, condizionato dalla somma di due interferenze unidirezionali. Immaginai il movimento della corda sul ponticello condizionato da questa tendenza e pensai che sicuramente limitava e rendeva instabile il movimento della corda sul ponticello, perché sul ponticello il movimento era agevolato in un verso e contrastato nell’altro (Figura 2).

Figura 2. Attacco tradizionale

Essendo coinvolto in prima persona, per aver passato anni frustranti e noiosissimi cercando il suono del violino, concepii di far eseguire una controcurva nel tragitto della corda del violino, per “liberare” il movimento della corda sul ponticello, semplicemente facendo uscire la corda da sotto la cordiera, invece che da sopra, provocando una controcurva di compensazione, dell’esatta angolazione della curva che la corda esegue sul ponticello (Figura 3).

Figura 3. Attacco modificato

Accordai lo strumento e suonandolo mi emozionai, provai un senso di libertà che mi alleggeriva di tutti quegli anni passati a consumarmi le dita; il fruscio era quasi sparito, il suono dello stesso violino era diventato aperto e sotto l’arco era diventato molto più docile, si potevano eseguire arcate lunghe e lente, regolari e senza interruzioni. Il cambio di direzione dell’arco era molto più pulito e agevole, la corda non si paralizzava e mentre ero assorto ad ascoltare come era cambiata la dinamica del suono del violino notai che le note prodotte sulla stessa corda erano più simili, erano corredate dalla stessa quantità di armonici, per cui il timbro del suono era molto più regolare.

Provando a produrre sulla chitarra un attacco al ponticello che producesse una controcurva, usando la minima quantità di corda e risolvendo il problema con la costruzione di un nodo per bloccare la corda nel foro di passaggio nel ponticello, si ruppe una corda. Non avendo ricambi di corde trovai un sistema per ancorare la poca corda, bloccandone lo scivolamento nel foro della meccanica. Provai ad accordare la corda e riuscii a tenderla in nota; mentre la tendevo e la confrontavo con le altre corde notai che il volume e la durata erano molto aumentati. Applicato lo stesso sistema alle altre corde, notai che le corde dei bassi però cedevano tensione repentinamente, perché l’anima di nylon scivolava dentro il rivestimento e questo mi fece capire che quando infiliamo una corda rivestita dentro un buco e poi la avvolgiamo per tenderla, azioniamo la tensione solo sul rivestimento non sull’anima interna della corda. Provai a togliere un pò di rivestimento al capocorda con una fiamma feci e fondere i fili di nylon che formavano l’anima, fino a formare un funghetto in prossimità dell’inizio del rivestimento (Figura 4); la tensione delle corde rivestite si stabilizzò. Suonando delicatamente le corde della chitarra, l’emissione risultava molto più pronta, la durata del suono era molto più lunga, degradando con molta più regolarità. Capii che la quantità di corda usata per costruire gli attacchi, era direttamente responsabile anche della sua durata e intensità.

Figura 4. Attacco a funghetto

Provai quindi a legare anche  le corde del violino con un attacco autobloccante usando la minima quantità di giri intorno al pirolo, finalmente le corde del violino avevano la medesima intensità. Scoprii che la dinamica dello strumento era molto aumentata, cioè si poteva suonare in modo regolare molto più piano e molto più forte (Figura 5).

Figura 5. Legatura della corda al pirolo

Memore di macchine progettate in famiglia, mi informai per depositare un brevetto ed un marchio, cosa non facile perché coinvolgeva tutti gli strumenti a corda ma riuscii comunque a depositare un brevetto per un nuovo tragitto della corda degli strumenti ad arco e a pizzico con nuovi attacchi, e iniziare la produzione di strumenti per la didattica.

Il problema grosso per gli strumenti ad arco era costruire una macchina che producesse sulla cordiera una foratura radiale precisa in diciassette misure diverse. Ogni giorno dovevo progettare pezzi da realizzare per costruire la macchina, trovare i vari metalli occorrenti, come acciaio C60 rettificato, bronzo e lardone di alluminio e facendo costruire degli appositi trapani, sono riuscito a portare a termine una macchina con tutti i movimenti ad aria compressa e con un solo sensore elettrico di sicurezza.

Figura 6. Macchina per foratura della cordiera

La prima volta che montai la nuova cordiera su un violino, il suono di tutte le corde era così ampio che sembrava arrivasse da ogni direzione; mi esposi finanziariamente e cominciai a produrre i primi cento strumenti di ogni misura.

Sperimentai un noleggio a riscatto, e gli allievi musicisti che utilizzavano i nuovi strumenti non conoscevano fischi e grattamenti, non soffrivano la scordatura dello strumento, trovavano subito le note, al punto che qualcuno è entrato in laboratorio senza aver mai preso in mano un violino, e ne è uscito che sapeva suonare un motivetto. Ricevetti molti complimenti anche e molti adottarono questa cordiera, qualche professionista per pigrizia montava le corde al pirolo senza l’autobloccaggio, ma la cordiera migliorava il suono (Figura 7).

Con il tempo il mio entusiasmo si consumò a causa del comportamento di alcuni maestri di conservatorio, i quali costringevano gli allievi a montare una cordiera tradizionale, in molti casi lo strumento era causa di malumore tra allievo e maestro, e questo era l’esatto opposto dei miei propositi.

Conseguentemente ed in modo naturale feci sciamare la produzione di strumenti ad arco “equilibrati”, mi dedicai esclusivamente allo sviluppo del lavoro in laboratorio, dove ancora oggi offro assistenza a tutti i generi di strumenti, in cui senza enfatizzare gli attacchi originali, e adoperando le nuove tecniche in modo completamente anonimo, riesco a far crescere la coscienza di “normalità” del suono, creando un equilibrio più naturale tra innovazione ed evoluzione.

Figura 7. Attacco senza autobloccaggio

Per poter avere un parere autorevole, ho sottoposto le innovazioni ad un ricercatore del C.N.R. di Venezia, il quale preparò un poster da esporre ad ISMA 2007, una triennale di acustica a Barcellona, dove i risultati furono di totale apprezzamento. Nonostante l’assenso della scienza, una innovazione su strumenti che devono evocare il passato, risultavano anacronistici, anche se il mio intento era togliere il brutto del suono, ed esaltarne il bello.

Nel cercare le teorie con cui poter far capire i vantaggi di questo nuovo modo di legare la corda, fui colpito da una serie di curiose congetture tra il movimento della corda del pianoforte e il movimento della corda della chitarra e quella degli strumenti ad arco, cioè una teoria con cui si può ipotizzare la meccanica della genesi e funzionamento dell’onda stazionaria. Realizzai che una prima onda si forma quando la goccia impatta sulla superficie, e una seconda onda si forma quando riemerge dalla superficie dell’acqua, formando una specie di timpano, ed era come vedere il martello di un pianoforte arrivare sulla corda e provocare il suono. Mi fu ulteriormente chiaro il funzionamento dell’invenzione dello scappamento ad opera di Bartolomeo Cristofori, inventore del pianoforte, il cui intento era di creare uno strumento in grado di modulare il suono da piano a forte e renderlo più simile al comportamento della voce nel canto. La regolazione dello scappamento su un pianoforte, cioè il momento in cui il martello perde forza di spinta e libera il rilascio della corda, determina un rimbalzo più libero o più forzato ed importantissima nella definizione della sonorità dello strumento, in quanto apre e chiude il suono; se si avvicina troppo lo scappamento alla corda, il rilascio della corda diventa insufficiente a produrre tutti gli armonici istantanei, se lo si regola troppo lontano si affievolisce il suono e si ha come la sensazione di ingovernabilità delle dita. Il suono diventa completo e governabile quando il martello perde forza nel momento giusto, da far rimbalzare lo stesso dalla corda risucchiandola, e provocando  una oscillazione libera  della corda sul punto d’impatto, come la goccia che riemerge dopo il tuffo, e continua per una frazione (Figura 8).

a)                                        b)

Figura 8. Regolazione scappamento del pianoforte a); impatto della goccia in acqua b)

 

Altra conferma deriva dal fatto che se la corda del pianoforte non oscilla perpendicolare alla tavola armonica, perché il martello stimola una vibrazione circolare dell’ellissi di movimento, il suono oscilla di intensità, e alla fine com’è naturale per il metallo, la corda si rompe. Per regolarizzare l’oscillazione della corda perpendicolare al piano armonico e su un unico piano, bisogna intervenire sulla traiettoria e inclinazione del martello che percuota e rilasci la corda, muovendosi su di un unico piano, così come il movimento della corda su due piani della chitarra è provocata dal pizzico che impone due piani di movimento, uno generato dalla direzione da cui arriva l’impulso e uno verso il punto in cui prosegue l’impulso; quindi se l’impulso provoca sulla corda un’onda al momento dell’impatto e una al momento del distacco, sulla corda dal punto di impulso si generano due onde contrapposte in positivo e due onde contrapposte in negativo, contenendo in se una “memoria” composta, per gli assi di oscillazione.

Quando ne parlai con un esperto, il quale fu molto contento perché anche lui si era dedicato all’argomento, senza aver trovato una spiegazione, mi disse che era plausibile e bisognava approfondire la cosa ma mancavano i fondi.

La conoscenza del comportamento fisico e acustico del’acciaio, che mi ha accompagnato dal suono regolare e affidabile dell’incudine, a quella degli strumenti musicali, nel tempo mi ha indicato “come deve essere il suono”, quale è il comportamento del suono degli strumenti musicali per essere “bello”, mi ha portato a formulare una lavorazione della corda del pianoforte, e da questi a tutti gli strumenti a corda. Per indagare più approfonditamente sulle reali esigenze acustiche delle persone, ho cominciato a chiedere ai musicoterapisti cosa indagassero sulle persone prima di “somministrare” il suono ed avendo ricevuto risposte negative su indagini preventive ad un trattamento acustico, ho cominciato a cercare sul corpo umano un suono di riferimento misurabile. Essendo la voce soggetta a troppe variabili, ho cercato il modo di misurare il corpo umano come fosse uno strumento meccanico, evidenziando come la compatibilità e l’incompatibilità acustica tra le persone sia importante per i rapporti tra le persone. Con il tempo mi sono abituato all’idea che la conoscenza dell’acciaio, le sue caratteristiche e la lavorazione tecnica, fornisca un repertorio con cui è possibile comprendere meglio il pensiero umano, tramite il parallelo di comportamento acustico tra la voce umana e l’acciaio, dove ambedue rivelandosi manifestano inequivocabilmente,  la qualità della propria essenza.

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