Andrea Campioli – Architetto, Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura, Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito

Il tema di un costruire basato sul montaggio in cantiere di componenti e sistemi realizzati industrialmente si trova in questi ultimi anni al centro di un rinnovato interesse. Prefabbricazione, costruzione off-site, assemblaggio a secco, nelle diverse declinazioni che sono andati via via assumendo, non sono certamente aspetti inediti e inesplorati nella pratica del progetto e della sua realizzazione. Tuttavia soltanto in questo frangente essi stanno assumendo una rilevanza che non erano mai riusciti ad ottenere in passato, quando il tema delle tecniche esecutive basate sull’assemblaggio in cantiere di elementi e componenti realizzati industrialmente è sempre rimasto relegato negli ambiti ristretti della ricerca scientifica specialistica condotta in ambito accademico, della sperimentazione tecnologica delle imprese più attente a processi di produzione evoluti, delle isolate e spesso spericolate proposte di qualche eccentrico progettista innovatore.

Basti il riferimento alla ricerca sulla progettazione per sistemi e componenti condotta alla metà degli anni Quaranta da Walter Gropius e Konrad Wachsmann per la General Panel Corporation a partire dalla necessità di riconvertire l’industria bellica a scopi civili e di dare una casa ai soldati di ritorno dalla guerra in Europa; oppure alla contemporanea esperienza imprenditoriale di Jean Prouvè che con il programma Maxeville provò a trasferire, peraltro con scarsi risultati, i concetti della catena di montaggio dell’industria meccanica al settore delle costruzioni; oppure ancora alla dirompente proposta del Fun Palace con cui negli anni Sessanta Cedric Price tentò di applicare all’architettura il concetto di temporaneità mediante l’impiego di tecniche di assemblaggio reversibili; per arrivare alla più recente iniziativa del partenariato di imprese della cosiddetta “filière sèche” organizzata in Francia dai progettisti Eric Dubosc e Marc Landowsky intorno al 2000 che ha provato a dare corpo imprenditoriale all’idea dell’edificio come sistema aperto di componenti industriali, che ha aperto la strada anche ad alcune sperimentazioni sviluppate nel contesto italiano.

Queste esperienze di grande interesse che, quando non hanno avuto esiti fallimentari, hanno comunque stentato ad affermarsi anche in contesti connotati da una radicata cultura materiale del costruire basata sul montaggio di parti precostituite, trovano oggi condizioni quanto mai propizie per una diffusione capillare.

L’agenda per l’innovazione e la ricerca strategica 2021-2027 della Piattaforma tecnologica europea delle costruzioni, dell’ambiente costruito e degli edifici energeticamente efficienti (European Construction Technology Platform) pone tra gli obiettivi da raggiungere nel medio (2030) e nel lungo termine (2050) quello della definizione di un “ecosistema delle costruzioni” in grado di migliorare la crescita di produttività del settore che oggi si attesta soltanto a un quarto rispetto alla crescita che caratterizza gli altri settori manifatturieri (1% contro il 3,6%). Il tema è pertanto quello di incrementare la competitività di un settore caratterizzato dalla prevalenza di piccole e medie imprese e necessariamente destinato a confrontarsi con un mercato sempre più allargato, se non proprio globale. Date queste premesse la sfida prioritaria è l’integrazione nell’intera filiera delle nuove tecnologie disponibili, come per esempio l’automazione, il Building Information Modeling (BIM), l’Internet delle cose, i materiali avanzati, la produzione additiva, e soprattutto la ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro puntando sulla digitalizzazione dei flussi informativi e sulla messa a punto di modalità costruttive basate sulla prefabbricazione e assemblaggio in cantiere.

Costruire in fabbrica (off-site) per assemblare nel cantiere (on-site) viene quindi proposto come lo scenario produttivo di riferimento entro il quale il settore dovrà collocare la propria azione se vorrà corrispondere in modo adeguato alle sfide alle quali è fin d’ora chiamato.

Molteplici sono le ragioni che oggi spingono in questa direzione sui fronti al contempo economico e ambientale.

Per quanto riguarda gli aspetti economici, articolati sono i vantaggi che potrebbero derivare dall’applicazione di soluzioni costruttive basate sull’assemblaggio a secco. Innanzitutto si potrebbe contare sull’economia di scala ottenibile nella produzione industriale dei componenti e sulla maggior produttività dei processi manifatturieri rispetto al lavoro in cantiere; in secondo luogo i committenti e i diversi soggetti della filiera potrebbero conseguire rilevanti benefici finanziari in ragione del contenimento delle tempistiche di cantiere; in terza istanza si potrebbe ottenere una significativa riduzione dell’uso dei materiali e dei rifiuti di cantiere in relazione alla elevata efficienza dei processi manifatturieri sul versante dell’approvvigionamento delle materie prime e della produzione degli sfridi di posa in opera; infine, le ridotte dimensioni delle aree necessarie per l’assemblaggio in cantiere, oltre a costituire un evidente vantaggio economico, renderebbero particolarmente adatte queste soluzioni negli interventi di riqualificazione all’interno di tessuti urbani consolidati dove ci si confronta con l’impossibilità di disporre di aree per la cantierizzazione di grandi dimensioni.

Sono tuttavia gli aspetti di carattere ambientale a rendere particolarmente interessante oggi un ripensamento del costruire nella direzione dell’assemblaggio a secco. Il recente avvio delle politiche a sostegno dell’efficienza ambientale e dell’economia circolare (2) pone infatti al settore delle costruzioni l’imperativo di orientare la propria ricerca verso soluzioni costruttive che consentano di ridurre i rifiuti e di riciclare i componenti e i materiali a fine vita. E la reversibilità, connaturata ai processi di assemblaggio a secco, consente di attuare quelle logiche di smontaggio, sostituzione, reimpiego e riciclo che risultano indispensabili per ottimizzare le prestazioni ambientali di un edificio considerate rispetto all’intero ciclo di vita dell’insieme e delle singole parti.

Numerose e insidiose restano tuttavia le difficoltà che si oppongono a un’ampia diffusione delle logiche dell’assemblaggio a secco: la frammentazione e la piccola dimensione delle imprese della filiera delle costruzioni, la scarsa qualificazione della forza lavoro, l’inerzia ai processi di digitalizzazione in atto, il retaggio di una cultura del costruire profondamente radicata in una pratica artigianale che vede come luogo esclusivo della produzione il cantiere. Per citarne soltanto alcune.

Molta strada deve essere ancora fatta. Ma incamminandosi lungo questo percorso insidioso sarà possibile ottenere una maggiore qualità della costruzione e un più elevato livello di sostenibilità dell’ambiente costruito.

 

(1) European Construction Technology Platform, Strategic Research & innovation Agenda 2021-2027, 2019.

(2) Commissione Europea, COM 614 final, L’anello mancante. Piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare, 2015.

 

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