Dott. Ing. Cesare Prevedini

L’evoluzione della tecnologia legata ai sistemi di precompressione ha permesso la realizzazione di strutture sempre più ambiziose. In particolare si è passati da sistemi relativamente semplici a sistemi tecnologicamente più avanzati, di tipologie differenti e progettati per rispondere a precise esigenze che sono andate progressivamente emergendo.

PREMESSE
Questa è una parte della mia storia di ingegnere ed imprenditore. Mi sono trovato a progettare il “precompresso” senza averlo studiato al Politecnico e, come molti ingegneri della mia generazione, dopo un anno di attività, che per me ero lo studio di Amedeo Gervaso, partecipavo alla progettazione di decine di ponti in c.a. precompresso. Così è nata la mia cultura sui “cavi” e “sui sistemi”: si imparava producendo e bisognava apprendere la tecnologia per poterla applicare alle strutture che si elaboravano. Quando poi divenni imprenditore, e avvenne dopo pochi anni con il mio ingresso nel capitale della Tensacciai, la mia attività di ingegnere fu ovviamente portata anche a cercare le possibili estensioni dell’applicazione della nostra tecnologia. Lo sviluppo dei sistemi portava ad una strada che si evolveva naturalmente, da cavi di piccola portata a cavi di grande portata: questo fatto, unito alla evoluzione dei sistemi costruttivi dei cantieri dei ponti, portò ben presto a soluzione tecnologiche obbligate. Mentre alla fine degli anni sessanta il sistema più utilizzato era ancora a fili, fatto che obbligava a realizzare i cavi a terra, alla fine degli anni settanta la dimensione dei cavi era molto aumentata e anche i sistemi costruttivi e pure le tipologie delle strutture erano mutate: non più ponti a travi, travi generalmente da 30 m, ma ponti a cassone, con luci più grandi e costruiti con sistemi in avanzamento. La nuova realtà comportava obbligatoriamente un aumento della dimensione dei cavi e ovviamente un adeguamento delle attrezzature: questi nuovi cavi più potenti, non si potevano più prefabbricare su banchi, ma dovevano essere infilati in opera. Questa necessità oggettiva indirizzò la post-tensione verso il trefolo, in sostanza verso il trefolo da 15 mm. perché era il più facile da infilare e perché era il più disponibile sul piano industriale. Le altre tecnologie scomparvero, gli ancoraggi dovettero essere compattati in blocchi e la tensione applicata con un unico martinetto monogroup. Con relativamente non importanti variazioni, tutti i principali sistemi arrivarono a proporre la medesima soluzione di base. L’ho fatta breve, ma era necessario spiegare il perché di tante evoluzioni tecniche e delle loro conseguenze.L’altro evento che cambiò la tecnologia dei sistemi a cavi scorrevoli fu l’evoluzione della tecnologia della passivazione dell’acciaio armonico. Questo è sempre stato un problema e in parte lo è tuttora. Con l’aumentare della potenza dei cavi lo divenne ancora di più: la struttura aveva bisogno per tutta la durata della sua vita di poter contare sulla integrità della forza indotta dall’acciaio armonico dei cavi: i cavi erano singolarmente troppo importanti per poter rischiare di perderne anche la sola efficienza singolare. Ovviamente ci fu una grande evoluzione nella tecnologia delle boiacche di iniezione, ma ci fu qualcuno, che ebbe l’intuizione dei “cavi esterni” […]

Leggi l’articolo completo su Costruzioni Metalliche, n. 2/2020.

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